1966.
Anzi, no.
Notte di natale del 1965.

Un tizio di nome Sherman Poppen, povero come la sabbia tra le dita dei piedi, nelle settimane precedenti si era trovato alle prese con il dilemma comune dei padri di famiglia del tempo, ovvero: dove diavolo ho messo la cintura per picchiare mia moglie? cosa regalo ai miei figli per natale?

Questa allegra famigliola cresciuta a Jerry Lee Lewis e preparati per torte strapieni di olio di palma e margarina aveva la fortuna di abitare ad un tiro di schioppo dalle montagne e, due colpi di raspa ed uno di lima, lo Snurfer prende forma.
Non si chiamava ancora così in realtà, ma la cara signora Poppen che spendeva un quarto di stipendio per abbonamenti alla Settimana Enigmistica unì simpaticamente “snow” e “surfer” in un onomatopeico “snurfer” posando la pietra d’angolo per la futura nascita dello snowboard.

Piccolo balzo temporale, è un 1977 assolato nel Vermont. Un tizio di nome Jake Burton Carpenter, da qualche tempo impegnato in gare di snurfer (che hanno un sacco di seguito e si becca un sacco di gnagna), decide di piantare due attacchi per scarponi da sci sul suo mega-snurfer-hyper-2000 per le gare dell’inverno a venire.
Nasce lo snowboard come lo conosciamo noi. E per noi intendo io e quello che ha scritto la pagina di Wikipedia che sto copiando. Tu non conosci ancora nulla, quindi finisci di leggere l’articolo.
L’escalation dello snowboard è esponenziale, Burton diventa il brand più importante al mondo e nel 2021 tu non riesci ancora a chiudere un 180.

Fine.

Questa gag fa sempre spaccare dal ridere, ripartiamo da dove eravamo rimasti.
Da Londonderry dove produce i primi snowboard il buon Jake si sposta a Manchester, quello tarocco nel Vermont perché per andare alla Manchester inglese non aveva il becco di un quattrino.
Assume ben cinque aiutanti, dei quali nemmeno uno aveva lavorato prima da Babbo Natale, ed i primi resort iniziano a permettere agli snowboarder di condividere le piste con gli sciatori.
Nel frattempo nascono le prime competizioni, Jake Burton comincia a fare due soldi vendendo tavole e sfoggiando la sua Camaro gialla all’aperitivo al bar di Tonino raggira una poveretta di nome Donna Carpenter che, distratta dal rombo del V8, si lascia versare del paraflu nel drink e si fa portare a casa da Burton.
Un grande inizio per una grande storia d’amore, dato che dopo qualche anno Donna Carpenter durante un giochino perverso fa usare a Jake “l’azienda è tua” come safe word, diventando a tutti gli effetti CEO del primo brand di snowboard al mondo.

Ma torniamo agli anni 80, quando intorno all’85 Jake e Donna vanno in gita ad Innsbruck (quella vera, in Austria, stavolta) e Jake cerca qualcuno che piazzi le lamine ai suoi snowboard.
Entra mezzo sbronzo in una ditta chiamata Keil Ski e comincia a sbraitare in americano davanti al primo uomo che trova. Soltanto che è entrato dal retro, sta parlando con Johann il garzone che di americano non conosce nemmeno l'aperitivo e soprattutto deve essere a prendere sua figlia che esce dal corso di fermentazione della verza tra cinque minuti.
Fortunatamente la figlia del proprietario, che aveva studiato inglese guardando Starsky e Hutch, interviene evitando una rissa e presenta Jake al padre.
Tra una battuta sessista e l’altra i due uomini d’affari trovano l’accordo, e Jake torna negli States con un contratto di produzione per i primi snowboard con lamine e soletta in p-tex.
Una rivoluzione.

Poco dopo Jake apre la prima fabbrica europea, esattamente ad Innsbruck. Proprio di fianco alla Keil Ski. Ci manca solo che faccia l’insegna a forma di dito medio e siamo a posto.
Negli anni ‘90 lo snowboard ha un grandissimo successo, anche mio nonno se ne compra uno ma fa presto a bollarlo come ciofeca tornando a bere bianchini al bar.
E’ uno che ci ha sempre visto lungo. 

Ma a vederci lungo è anche Jake, che piazza un nascente Craig Kelly su uno di quei razzi asimmetrici da gigante e finisce per inserire nell'immaginario comune la figura del rider pazzo in culo che il giorno prima sta a vendere bibite allo stadio e il giorno dopo appoggia le natiche su una Cadillac.
Il team cresce e pure un assurdo Terjie Hakkonsen entra in pipe con la cazzimma tipica di chi ha due soli neuroni che si rincorrono dentro la testa e si permette di sfondare limiti che all'epoca sembravano insormontabili.
Uomini, donne, giocolieri circensi nani e folletti entrano nel team della grande B durante tutti gli anni 90 e inizio 2000, fino ad arrivare a quel nome che è entrato nella memoria di tutti: la madre che si era rotte le scatole di passare la domenica pomeriggio al PS di San Diego ha deciso che gli sci erano troppo per il suo caro figliolo, doveva rallentare! Così Shaun White divenne un super dio dello spin-to-win in snowboard, così, senza chiedere..

Jake approfitta del momento di fama di questo sport, nel 1994 apre una fabbrica in Giappone per risparmiare sul costo dei dipendenti dopo aver scoperto che se li fai piangere al massimo si suicidano, e casualmente tutti i 14 del mese spuntano annunci di lavoro per costruire snowboards.

Nel 2008 tra i brand di Burton figurano RED, Anon, Analog, ed altri che non scrivo perché oddio mi scende una lacrima...

Salto temporale al 2014, Burton conta oltre 1000 dipendenti tra tutte le sue sedi. Nella sede americana quando inizi a lavorare ti regalano un buono per il McDonald’s, in quella austriaca una copia dell’armistizio di Villa Giusti ed ai giapponesi una wakizashi con kit di istruzioni per un perfetto seppuku.
Nel 2015, come abbiamo visto prima, Donna Carpenter viene incoronata CEO dell’azienda.
Numerosissimi pro internazionali hanno portato tavole, attacchi ed attrezzatura Burton a vincere decine di medaglie olimpiche e mondiali, i loro snowboard figurano nelle principali videoparts e l’attenzione alla ricerca ed alle novità è sempre altissima.

Di spicco è l’attenzione per l’ambiente e per il benessere dei dipendenti, aderisce al progetto Bluesign, le sue tavole sono certificate FSC, la fabbrica utilizza energie 100% rinnovabili ed un sacco di altre cose che non fanno andare meglio le tavole ma permettono che l’ambiente si conservi più a lungo, permettendoti di inondare i social dei tuoi brutti selfie sulla neve anche l’anno prossimo.

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